giovedì 31 gennaio 2013

Introduzione al Neorealismo


Il termine “Neorealismo” si diffonde originariamente in ambito cinematografico, a partire dal film Ossessione di Visconti, uscito nel 1942. Dopo il 1943 l’etichetta si estende anche all’ambito letterario. Essa indica la necessità di un ritorno alla realtà, dopo il soggettivismo e l’intimismo prevalenti negli anni Trenta, ed esprime l’esigenza, che si diffonde in questo periodo in buona parte della cultura europea, di “andare verso il popolo”. È soprattutto la realtà della guerra, della Resistenza e del dopoguerra, con la sua miseria e con le sue lotte politiche, a ispirare la nuova cinematografia (Visconti, De Sica, Rossellini), la nuova narrativa (Pratolini, per esempio), la nuova poesia (Scotellaro). Il prefisso “neo” indica la novità del fenomeno rispetto al realismo ottocentesco. Pur rifacendosi infatti a modelli prevalentemente ottocenteschi (Verga soprattutto), la nuova narrativa tende infatti a un nuovo impegno politico e ideologico, esplicitamente di parte, che coincide con la prospettiva dei partiti di sinistra. Notevole è anche l’influenza della narrativa americana (di Hemingway, per esempio), d’altronde mediata dai due maestri del Neorealismo, Pavese e Vittorini. La differenza fra il Neorealismo e il generico “nuovo realismo” che si diffonde in Italia negli anni Trenta è cospicua: il Neorealismo si rifà più apertamente a modelli ottocenteschi e a un impegno esplicitamente ideologico e politico, ispirato all’antifascismo, all’esigenza di “andare incontro al popolo”, alla denuncia delle ingiustizie sociali e, spesso, a una prospettiva di tipo socialista. L’aspetto ideologico-politico era invece assente o comunque assai meno evidente nel “nuovo realismo” e più in generale nella letteratura degli anni Trenta. Il Neorealismo sarà spazzato via dallo sperimentalismo promosso dalle nuove tendenze letterarie che si affermeranno nella seconda metà degli anni Cinquanta e all’inizio degli anni Sessanta, grazie all’azione di Pasolini da un lato e dei poeti “novissimi” della Neoavanguardia dall’altro, e delle rispettive riviste, «Officina» (1955-1959), e «Il Verri» (nata nel 1956).
In poesia, la poetica del Neorealismo fu promossa soprattutto da riviste come «La strada», diretta da Antonio Russi fra il 1946 e il 1948, e «Momenti» (1948-54), che sostenevano la necessità di una poesia impegnata anche in senso politico, volta a coltivare l’epica e la cronaca piuttosto che la lirica, una poesia corale atta a rappresentare situazioni collettive e stati d’animo popolari piuttosto che la poesia soggettiva e individuale, la prosasticità al posto della purezza e della rarefazione linguistica e stilistica. L’obiettivo polemico era rappresentato, naturalmente, dall’Ermetismo.
I modelli furono soprattutto stranieri: Majakovskij, Brecht, García Lorca, Neruda, Eluard, Aragon, Lee Masters con Spoon River Anthology. Il Neorealismo dette i suoi risultati migliori nel cinema piuttosto che nel romanzo o nella poesia, generi in cui prevalsero un’impostazione eccessivamente ideologica e la retorica populistica. I poeti più significativi comunque furono Velso Mucci e soprattutto il lucano Rocco Scotellaro (1923-1953), il cui realismo va cercato tuttavia, più che nella rappresentazione dei contadini della sua terra (che nei suoi versi tende irresistibilmente a diventare leggenda, mito, luogo di non-contraddizione), nella descrizione angosciosa dell’ambiente cittadino. Bisogna ricordare poi che poeti ermetici o vicini all’Ermetismo fiorentino come Alfonso Gatto e, soprattutto, Salvatore Quasimodo si adeguarono alla nuova poetica nella produzione successiva al 1945, abbandonando il simbolismo per una poesia ispirata alla cronaca e impegnata in senso sociale e politico. L’area cronologica del Neorealismo va dal 1943 al 1955 circa. Nonostante la scarsezza di validi risultati estetici, la poetica neorealista favorì in poesia un abbassamento stilistico e un rinnovamento linguistico che posero fine al chiuso petrarchismo degli anni Trenta. Inoltre promosse uno sviluppo di forme poetiche — per esempio, il poemetto narrativo — che saranno riprese dai poeti di «Officina». Al di là dei suoi risultati, la poesia neorealistica aprì dunque nuove interessanti direzioni di ricerca, che saranno continuate, in modi nuovi, dai poeti sperimentali della generazione successiva.
Il neorealismo coincide quindi con la letteratura dell'antifascismo, della guerra, della Resistenza, della sorte postbellica, in quanto revisione e riscatto dei valori morali e civili che la politica fascista e la sua avventura internazionale avevano adulterato.
Non pare quindi possibile limitare il neorealismo ad una semplice questione di poetiche, in quanto esso ha elaborato un diagramma di richieste che travalicano la frontiera strettamente letteraria per investire la situazione dell'uomo e dell'intellettuale, e insieme l'avvenire sociale e politico del cittadino.
In questo senso il neorealismo nasceva da una consapevolezza e una responsabilità che imponevano all'arte e in generale alla cultura un impegno preciso, intendendo farle partecipi di una radicale promozione etica dell'individuo e della comunità.
Si trattava di conseguire, attraverso la rappresentazione di verità locali e dirette, una più attiva cognizione della problematica extranazionale, per sentirsi vivere nuovamente nel circuito della cultura europea e cosmopolita.
Il neorealismo comprende autori, opere e progetti che non si lasciano accomunare in una sola direzione. La loro provenienza e la loro formazione sono assai diverse e spesso appartengono a culture ed esperienze antitetiche. Gli anni di fioritura del neorealismo iniziano nel 1929/30, con la pubblicazione di "Gli Indifferenti" di Alberto Moravia,”Fontamara” di Ignazio Silone “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro.
La distanza e il contrasto fra l'ottimistica Italia ufficiale del dopoguerra e la realtà del Paese, sconvolto da drammatici squilibri sociali, economici, culturali, inducevano sempre più gli scrittori ad abbandonare le evasive esercitazioni di stile e a ritrarre il mondo con la maggior dose possibile di verità.
Grandi autori quali Pavese, Fenoglio, Brancati, Bernari, Calvino, Levi, Rigoni Stern, Vittorini, Berto, Cassola, Bigiaretti, Bartolini, Viganò contribuirono con le loro opere a diffondere l'influenza e l'importanza del neorealismo.
Verso la metà degli anni '50 si andarono però evidenziando i limiti entro i quali si era mossa l'intera esperienza neorealista e che riguardavano sia la scarsa coscienza stilistica, sia la generica prospettiva ideologico-politica che non andò mai al di là della vaga proposta di un radicale cambiamento sociale, privo però di precisi connotati scientifici e storici. 
L'esaurimento del Neorealismo si registrò già alla metà degli anni'50.

Il Neorealismo e la letteratura del dopoguerra




Gli eventi del tormentato arco di tempo compreso fra l’inizio del secondo conflitto mondiale e  il dopoguerra rafforzarono negli scrittori italiani la consapevolezza di quanto fosse importante adeguare la letteratura al mutare dei tempi, ponendo i loro strumenti al servizio della società contemporanea e dei suoi urgenti problemi. Come spesso accade nell’ambito delle esperienze culturali, le correnti letterarie che presero forma in questi anni furono conseguenza di una situazione storica e sociale in trasformazione, e quindi di un progressivo modificarsi nella visione del mondo, e nacquero all'insegna della rottura con il passato e della ricerca di nuove soluzioni; tuttavia esse conservarono significativi legami con la tradizione.  Il primo importante indirizzo culturale in Italia che presenta simili caratteristiche e' il Neorealismo, un movimento che sorge durante la seconda guerra mondiale, sviluppandosi approssimativamente fra il 1943 e il 1955, e che per molti intellettuali che uscivano dal fascismo rappresentò quasi una scelta obbligata di rigenerazione. Esso espresse una concezione della cultura quale strumento capace di incidere sulle coscienze e di ordinare l'esperienza collettiva, intervenendo nelle sue contraddizioni di carattere politico e sociale, contrassegnata dall'assunzione di uno stile per lo più realista, animato da una visione del mondo e dei fatti sociali mediata da un'ideologia di stampo populista, spesso echeggiante temi marxisti. Rispetto alla letteratura come prosa d'arte o come celebrazione retorica degli anni del fascismo, il neorealismo sollevò il dibattito sulla situazione dell'uomo e dell'intellettuale; quest'ultimo, in particolare, intese farsi portatore della riscoperta del mondo contadino e della sua cultura e, in seconda istanza, dei valori primigeni delle classi subalterne. Non a caso, il neorealismo coincise con la scoperta e la pubblicazione degli scritti di Gramsci, che denunciavano la mancanza di una letteratura autenticamente nazional-popolare. L'aspetto ideologico del neorealismo si concretizzo' anche nell'assunzione della parlata popolare come arricchimento del linguaggio colto: alla fine, l'utopia del neorealismo fu la sintesi fra le due culture, quella delle classi dominanti e quella delle classi subalterne.Il Neorealismo non e' una vera e propria scuola, ma piuttosto un orientamento generale della cultura, una atmosfera, racchiusa in un breve volgere di anni, che risponde a parametri omogenei in campo tematico e formale, e che abbraccia vari settori, raggiungendo la massima rappresentatività nel cinema; anche in letteratura, pero', ispira testi di notevole efficacia. I romanzi di Pirandello, Svevo, ma anche l’opera di D’Annunzio in Italia e i lavori di V.Woolf, F.Kafka, M.Proust, cambiano completamente la narrativa (flusso di coscienza, fine del narratore onnisciente, discontinuità temporale… montaggio). Nel secondo dopoguerra il termine Neorealismo si diffonde nella letteratura Italiana, l’esigenza di un ritorno a Verga nasce da situazioni contingenti e forse, da una scarsa conoscenza della letteratura Europea, così come dalla specificità della società italiana ancora prevalentemente agricola. Questo e' il limite e la grandezza del Neorealismo, entrerà in crisi irreversibile quando la nostra società diventerà molto simile a quella Americana negli anni cinquanta…(Boom economico). Il Decadentismo in tutte le sue espressioni pur differenziate evidenziava una crisi di valori, negli anni trenta molti intellettuali italiani ed europei in modo diverso cercarono comunque, a fronte dei drammatici avvenimenti che di li a poco avrebbero insanguinato l’Europa, vie diverse di espressivita', ma anche di uscire da una situazione in cui la percezione della crisi finiva per diventare accettazione della realta', in Italia il Decadentismo D’annunziano aveva finito per confluire in modo diretto nella cultura più grossolana e nazionalista di Mussolini, ma anche Pirandello con la sua scissione tra un’arte rivoluzionaria e una vita privata sostanzialmente borghese non potevano reggere. In letteratura il Neorealismo ha un rapporto di maggiore continuità con il passato. Molti scrittori si formeranno in quel periodo nell’ambito di riviste(Solaria- La ronda..)e negli ambienti culturali dello stesso regime Fascista. Iniziamo il nostro discorso da un testo di Calvino degli anni 60, una introduzione al suo romanzo "Il Sentiero dei nidi di Ragno". Calvino sostiene che il Neorealismo non fu tanto una scuola, ma un clima generale e indica in Pavese, Vittorini e Verga tre punti di riferimento, facendo delle considerazioni interessanti sul bisogno di "raccontarsi" che si diffondeva in quel periodo.
La prima caratteristica del Neorealismo e degli scrittori che operano negli anni quaranta e' rappresentata da una nuova idea di letteratura che passa anche attraverso scelte che chiamano direttamente in causa lo Status dello scrittore, sino a quel momento la letteratura aveva avuto una rapporto di quasi completa estraneita' con la società e con le classi sociali subalterne, vi era stato un rapporto intenso con il "pubblico" solo nel caso di D’annunzio, ma di carattere completamente opposto a quello degli scrittori di questo periodo, anche autori profondamente rivoluzionari come Pirandello vivevano una scissione netta tra letteratura e vita sociale.
Con gli scrittori Neorealisti abbiamo un coinvolgimento diretto o indiretto nella vita pubblica del Paese, con caratteristiche di tipo Democratico.
Tutti piu' o meno furono coinvolti nella teoria dell’impegno civile dell’intellettuale comunque inteso, tutti ebbero una grande apertura nei confronti delle classi sociali che per secoli erano stati escluse non solo dalla cultura, ma dalla stessa lingua nazionale.
Da questo punto di vista il Neorealismo rappresenta un momento importante della storia del nostro Paese. La percezione dell’impegno dell’arte, dell’intellettuale che doveva uscire dalla "Torre d’avorio" dove si era rinchiuso da secoli era una esigenza a livello europeo, di fronte ai drammatici avvenimenti di quegli anni. Grande eco ebbe in Italia sia la pubblicazione degli scritti dal carcere di Gramsci sia degli scritti dell' intellettuale G.Pintor, morto giovanissimo militante della Resistenza che negli articoli e lettere lasciati insisteva molto sulla scelta che come lui avevano fatto tanti giovani (come Calvino) in quegli anni, giovani costretti a scegliere ad impegnarsi. Scelta intesa come impegno e rottura rispetto al tradizionale ruolo degli intellettuali.
Solo che subito nel dopoguerra si pose il problema delle caratteristiche di questo impegno civile dell’intellettuale.( contrasto tra Vittorini e P.Togliatti)( che tipo di impegno?).
Anche nella Letteratura Decadentistico-Esistenziale, del nuovo romanzo del primo novecento abbiamo sviluppi che pur tenendo conto delle innovazioni anti- naturalistiche dei romanzi primo novecenteschi aprono un colloquio con la societa', V.Woolf in particolare pur praticando una scrittura anti naturalistica e lavorando in molti suoi romanzi intorno ad una ricerca basata sul "flusso di coscienza" e su di una percezione del tempo tipicamente "esistenziale" tenne sempre ben presente il rapporto con la societa' anzitutto da un punto di vista femminile-femminista, in particolare ricordiamo un suo testo "Tre Ghinee". La Woolf diventera' poi successivamente un punto di riferimento per il movimento Femminista cosiddetto della "Differenza sessuale".
In Italia bisogna anzitutto citare il libro di Moravia ''Gli Indifferenti'' del 1929 un romanzo che fu letto come una critica ai valori borghesi dominanti dell’epoca, con molta piu' coscienza e chiarezza di quando avevano fatto Svevo e Pirandello.
Di Moravia ricordiamo l'espressione di "impegno controvoglia" vale a dire che pur in un contesto pirandelliano privo di valori non si puo' rimanere chiusi in una situazione di assurdo esistenziale mentre il mondo crolla, un impegno però senza forti connotazioni o certezze propositive.
Ma anche molti autori dell’avanguardia artistica in modo diverso cercarono un incontro, un coinvolgimento con la società, anche se sempre distanti dal naturalismo e dal positivismo del secolo precedente, pensiamo ai surrealisti francesi (diversi furono quelli impegnati nella Resistenza).
In Italia un ruolo importante venne svolto dalla rivista "Solaria" e anche dagli ambienti universitari fascisti dove si formarono tanti giovani che poi abbandonarono il regime.
Un romanzo che e' importante citare, insieme a quello di Moravia, è "Fontamara" di I.Silone. Il testo racconta a differenza degli "Indifferenti" la storia di una comunità contadina che lentamente prende coscienza della propria situazione di miseria e sfruttamento, il romanzo oggi appare quasi come un testo di antropologia. Anche con Carlo Levi e il suo "Cristo si e' fermato ad Eboli", ci si trova di fronte ad una narrazione orale collettiva che affonda le proprie origini nella cultura popolare contadina.
Il primo quesito che si pone Silone è quello della lingua da far usare ai suoi "Cafoni", il riferimento a Verga e' evidente, ma il testo rappresenta in modo chiaro ed inequivocabile (diversamente da Verga) una critica di tipo sociale quasi una affermazione universale del diritto alla libertà e alla dignita' umana. Tutto questo senza mai perdere il valore narrativo del racconto o cadere in un discorso propagandistico, si descrivono sentimenti coscienze situazioni in un discorso corale. Quasi una favola senza tempo che si stacca dal clima di assurdo, indifferenza, inettitudine di quegli anni. Silone era stato inizialmente comunista poi si era staccato dal partito e scrisse questo libro in esilio, il romanzo ebbe un successo internazionale e una larga diffusione semi- clandestina negli ambienti antifascisti italiani.
Il romanzo pur lontano dalla narrativa Decadente anti- naturalista del primo novecento non era un semplice "ritorno indietro" a Verga e al Verismo, ma assumeva in quegli anni un valore letterario notevole, riferito ad un ambiente sociale che il fascismo nascondeva, una lettura di denuncia e di critica. Erano presenti in questo romanzo tutti i limiti e le grandezze del Neorealismo, il rischio del populismo, vale a dire della esaltazione mitica del "popolo", il rischio di una narrativa ormai superata, ma anche notevoli qualità come la descrizione di una società contadina ancora dominante in Italia, una narrazione che diventava quasi simbolica nella sua oralità e che non a caso ebbe un successo europeo.
Sempre negli anni trenta viene pubblicato il romanzo di Elio Vittorini "Conversazione in Sicilia", un testo per molti versi simile a quello di Silone, Vittorini era stato inizialmente fascista poi dopo la guerra di Spagna aveva visto il regime in tutta la sua ottusità e lentamente aveva cambiato posizione; il testo racconta la storia di un giovane che ritorna in Sicilia in preda "ai furori interiori", vale a dire a sentimenti di indignazione per come si indirizza la sorte dell’Europa e nella sua Isola attraverso il colloquio con la madre arriva ad una presa di coscienza di quello che deve essere il suo impegno, Vittorini sara' una figura importante sia nel Neorealismo che nella letteratura italiana sino agli anni sessanta.
Altro testo fondamentale quello di C.Pavese dal titolo "Paesi tuoi" del 1941 anche se impregnato di elementi simbolici e decadenti venne letto come uno dei primi romanzi neorealisti. Pavese e Vittorini ebbero in comune la passione per la letteratura americana allora poco conosciuta in Italia e tradussero molti autori grazie anche alla casa editrice "Einaudi".
La lingua americana veniva vista come qualcosa di innovativo di anti- retorico e filtrava nei romanzi attraverso il dialetto dando uno stile al loro "Realismo" molto particolare specie nei dialoghi ricordiamo altri due romanzi degli anni trenta "Tre operai" di CarloBernari e "Gente di Aspromonte" di Corrado Alvaro.
Ricordiamo che su tutti questi giovani scrittori rimaneva l' influenza di D’Annunzio, lo scrittore più importante in quegli anni. Mentre Verga e' un riferimento dichiarato, D’Annunzio rimane una figura che condiziona questi giovani scrittori indirettamente, meno presente la letteratura di Pirandello e di Svevo.
Ancora tra gli scrittori bisogna ricordare V.Pratolini, forse l'autore più impegnato nella creazione di un "modello" narrativo Neorealista, il suo "Metello" suscito' polemiche oggi superate, un ottimo romanzo sulla storia di un muratore dei primi del Novecento; Pratolini fu anche lo scrittore più impegnato nel cinema come sceneggiatore.
Le origini quindi del Neorealismo sono da ritrovare in questi autori che si situano tra il Decadentismo e la seconda guerra mondiale.
Ancor più generico e' l’indirizzo seguito da autori che hanno lavorato soprattutto nel secondo dopoguerra, per il quale si usa la definizione convenzionale di Espressionismo. Questa formula accomuna scrittori assai diversi per indole e per scelta degli argomenti, ma le cui costanti sono il rifiuto degli schemi e dei modelli stilistici convenzionali, la tendenza a sovrapporre vari registri (ad esempio lingua colta, parlato e dialetto) e a deformare il linguaggio e lo stile, sconvolgendo le strutture narrative con soluzioni anomale rispetto alla tradizione, attraverso le quali si creano opere “irregolari”, ma proprio per questo, non di rado, dotate di particolare carica innovativa. Alla base di queste scelte sta quasi sempre una sfiducia, più o meno apertamente dichiarata, nei confronti dei mezzi espressivi tradizionali e della loro capacità di ritrarre le forme molteplici e sfuggenti in cui si presenta il reale.  Molti scrittori condividono tale orientamento, talvolta estremizzando le loro scelte fino all’esasperazione; ma l’esponente per eccellenza e' Carlo Emilio Gadda.  Fra i poli fondamentali del Neorealismo e dell’Espressionismo si colloca una serie di esperienze le quali, piu' o meno, sono riconducibili all’uno o all’altro indirizzo. Ne sono 
protagonisti numerosi scrittori che, partiti dalla crisi del Neorealismo alla fine degli anni Cinquanta, tentano di costruire un loro percorso rielaborando temi precedenti o innovandoli (e' il caso di Giorgio Bassani, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Vitaliano Brancati, Primo Levi, Carlo Cassola), oppure avventurandosi piu' decisamente sul terreno della sperimentazione (Elio Vittorini, Cesare Pavese, Lucio Mastronardi). Una posizione particolare occupano poi, per l’originalita' dell’opera e il peso della personalita', Alberto Moravia e Italo Calvino, che con Carlo Emilio Gadda sono fra i maggiori narratori italiani del secolo.


Il cinema neorealista italiano

















Il termine neorealismo sembrerebbe esser stato impiegato per la prima volta nel 1943 dal montatore Mario Serandrei in riferimento a Ossessione (1943) di Luchino Visconti.
Tra il 1945 e il 1953 è in Italia l'importante fenomeno del neorealismo. La guerra e la sconfitta avevano posto grossi limiti materiali e ideologici alla produzione cinematografica italiana: gran parte degli studi erano distrutti e non si potevano girare scene ricostruite, mancavano fondi per realizzare film così come si faceva negli anni precedenti la guerra; d'altra parte mancavano persino gli attori: non si potevano impiegare gli attori usati dal cinema fascista che impersonavano eroi di propaganda. I giovani registi usciti dalla guerra partecipavano al movimento di rinnovamento della società italiana di quegli anni. Loro impegno era il contatto diretto, quasi documentario, con la realtà: il bisogno della verità dopo le mistificazioni e la retorica del regime. I film del neorealismo italiano si contraddistinguono per una forte carica realista, l'uso di attori non professionisti, la presa diretta del paesaggio esterno delle città e delle campagne. Si guarda non più alle storie individuali e medio-borghesi, ma a vicende collettive (così come la Resistenza aveva riguardato una vicenda di tutto un popolo): di abitanti di Roma occupata e di partigiani, di donne del dopoguerra, di povera gente costretta a rubare una bicicletta per trovare lavoro, di pensionati, di emigranti. Si filma tutto quel mondo di cui il fascismo non ammetteva l'esistenza: la povera gente, la prostituzione, i suicidi, il mondo reale del lavoro duro.
Anche dal punto di vista linguistico, riappaiono insieme alla realtà , i dialetti che il nazionalismo fascista aveva bollato come deteriori. Nei maggiori films del neorealismo italico, appare il plurilinguismo: si pensi al tedesco, italiano, inglese, e dialetti locali presenti nei capolavori di Rossellini ("Roma città aperta", "Paisà"), De Sica & Zavattini ("Sciuscià", "Ladri di biciclette"), Visconti ("La terra trema"). Il dialetto per la prima volta nella storia del cinema italiano veniva assunto allo stesso livello dell'italiano e delle altre lingue, non in posizione di subalternità(addirittura, con "Sciuscià" e "Paisà", la presenza del dialetto anche nel titolo). La soluzione anche linguistica del neorealismo non resse a lungo, si infranse sullo scoglio della standardizzazione seriale del cinema industriale.
Questo slancio si nutrì di spontaneità, di coerenza e, pur nella diversità degli approcci, di una tensione univoca che non si sarebbe più ritrovata nel cammino del nostro cinema. Non dunque una tecnica particolare (riprese “dal vero” con interpreti “presi dalla strada”), né un solo linguaggio o stile (quello di L. Visconti essendo, per esempio, agli antipodi di quello di Rossellini), né contenuti scelti, proposti o sviluppati secondo una stessa matrice, caratterizzarono il neorealismo; bensì il comune atteggiamento di fronte a una realtà nuova e inedita al cinema (donde il prefisso neo al termine realismo, almeno secondo l'interpretazione più semplice e sensata), il comune spirito nell'affrontarla, esplorarla, rivelarla quale passaggio essenziale e indilazionabile verso qualsiasi opera di rinnovamento e ricostruzione del Paese. In questo senso, ciascun regista o sceneggiatore si dimostrò in possesso di una propria visione della realtà e dei suoi problemi, ma tutti insieme, dai maggiori ai minori, coloro che parteciparono a tale corrente, concorsero a fare un cinema che per la prima volta cominciò a misurarsi con alcuni dei grandi temi della nazione, ponendosi (sia pure più o meno genericamente) dalla parte del popolo.
E‘ importante ricordare che il neorealismo trionfò più sul piano internazionale che in patria; fonte di ispirazione per molte cinematografie di vari continenti, è tuttora citato come un alto esempio di impegno civile e sociale, da cui trarre insegnamento non solo dal punto di vista del linguaggio formale.
Nonostante le differenze tra gli stili peculiari di ogni autore, è possibile estrarre alcuni elementi comuni come, ad esempio, l'abbandono della struttura narrativa romanzesca, la preferenza accordata alle riprese in esterni, la presenza di attori non professionisti e il tentativo di rendere conto in modo obiettivo della realtà politica e sociale del paese in un momento di grandi cambiamenti.


Nelle commedie di Mario Camerini (interpretate da De Sica; ad alcune di esse collaborò anche Cesare Zavattini: Darò un milione, 1935) c'era attenzione per la cronaca minuta, la vita degli umili opposta a quella borghese; vennero poi Avanti c'è posto (1942) di M. Bonnard, Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, I bambini ci guardano (1942-1943) e La porta del cielo (1944-1945) di Vittorio De Sica dove Zavattini è presente come soggettista e scenografo; film drammatici erano stati La peccatrice (1940) di A. Palermi, Desiderio (1943) di Roberto Rossellini, Ossessione (1942) di Luchino Visconti; alcune commedie popolaresche scritte da Federico Fellini, P. Tellini, S. Amidei (interpretate da Aldo Fabrizi e Anna Magnani) danno il via a un film dialettale; mentre interessantissimi ci paiono oggi i film di guerra di F. De Robertis: Uomini sul fondo (1941) e Alfa tau (1942) sono incredibilmente privi di retorica.
I maggiori autori del neorealismo sono Roberto Rossellini , Vittorio De Sica , Luchino Visconti , attorniati da una serie di altri registi di buon livello, affiancati da alcuni interpreti di primo piano e da sceneggiatori come Cesare Zavattini (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D, Il tetto, L'oro di Napoli) e Salvatore Amidei (Roma città aperta, Paisà, Viva l'Italia!).
Oltre agli autori maggiori, vi sono tutta una serie di autori minori, registi che contribuiscono al successo del filone in quegli anni, spesso anche solo con un unico film, per poi magari avere una evoluzione verso altre direzioni. Si ricordano tra questi registi minori Aldo Vergano, Luigi Zampa, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis, G. Puccini [ha diretto Il carro armato dell'8 settembre (1960) e I sette fratelli Cervi (1968)], Gillo Pontecorvo, Antonio Lattuada, Pietro Germi; Renato Castellani, Michelangelo Antonioni, F. Maselli, Curzio Malaparte, Francesco Rosi. Alessandro Blasetti affronta la tematica partigiana in Un giorno nella vita (1946).

Il periodo d'oro del neorealismo terminò con l'inizio degli anni Cinquanta. Rossellini girò ancora alcuni film di pregio, come le due parti di L’Amore (1948), La voce umana e Il miracolo, con Anna Magnani e un giovanissimo Federico Fellini in veste d'attore; Stromboli terra di Dio, (1949); Francesco giullare di Dio (1950); Europa '51 (1952); Viaggio in Italia (1953), dopo il quale abbandonò il genere narrativo per darsi al documentario e alla didattica ricostruzione di eventi storici con produzioni televisive. Luchino Visconti diresse Senso (1954), film che segna il suo passaggio dal neorealismo al realismo, cioè dalla cosiddetta "poetica del pedinamento" (espressione coniata per designare il rispecchiamento della realtà) alla ripresa della grande tradizione romanzesca dell'Ottocento, trasposta nel cinema con la precisa descrizione di ambientazioni e psicologie dei personaggi. Vittorio De Sica firmò Umberto D. (1952), un estremo capolavoro neorealista, forse il suo più riuscito; in seguito, da L'oro di Napoli (1954) in poi, tornò sulle tracce di un cinema più commerciabile e di un realismo dai toni meno drammatici, senza per questo rinunciare alla qualità delle produzioni.

Secondo la convenzione storica, l'esperienza neorealista, aperta da Ossessione, si chiuse con Umberto D., dopodiché videro la luce nuovi filoni che, in molti casi, dal neorealismo trassero linfa tradendone il senso profondo. Come esempio si può citare tutta la serie di film d'ambientazione popolare in cui i personaggi sovente non sono molto più che macchiette d'ispirazione neorealista. Tra questi Pane, amore e fantasia (1953), per la regia di Luigi Comencini, interpretato da Vittorio De Sica e una prorompente Gina Lollobrigida agli esordi, e Poveri ma belli (1956) di Dino Risi, film nel quale, ora in campagna ora in città, venivano riproposti gli stereotipi psicologici del cinema dei “telefoni bianchi".

Sul versante comico-popolare, l'eredità neorealista è riscontrabile, ad esempio, nella serie tratta da Giovanni Guareschi e dedicata al personaggio di Don Camillo che furono campioni d'incasso per tutti gli anni Cinquanta. Il lascito del neorealismo non fu però limitato al solo filone strapaesano-comico-sentimentale. A riprova del fatto che, al di là degli stili, il movimento fu una vera e propria "scuola" dove che formo delle nuove leve di autori che avrebbero costituito il nucleo centrale del grande cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta. Tra questi, vanno citati Michelangelo Antonioni e Federico Fellini.

Il Neorealismo nella pittura


Il neorealismo e' stata la corrente pittorica che, nel secondo dopoguerra italiano, 


sviluppo' sulla base dell'impegno ideologico, un linguaggio formale aderente alla 


tematica del realismo socialista.
Protagonisti della pittura neorealista furono gli artisti del Fronte Nuovo delle Arti.

Guttuso Renato


 

Nulla si puo' scrivere sull’attività pittorica di Renato Guttuso se prima non venga fatto riferimento alla sua terra di origine. Guttuso nasce a Bagheria, vicino a Palermo, e sempre portera' nelle sue opere quella sensibilita' esasperata tipica di una terra così ricca di contrasti come da secoli è la Sicilia. 

Scriveva Dominique Fernandez che il"vero e migliore Guttuso è rimasto un autentico siciliano, cioè un poeta della rassegnazione e della morte, della sconfitta e del massacro, nonostante i principi rivoluzionari... la sua sicilianita' di fondo lo condanna a sentire, da artista, solo il lirico disordine degli oltraggi". 
Eppure Guttuso tenta in ogni modo con la sua arte, imbevuta di valori ed ideali marxisti, di mutare il mondo nei suoi aspetti peggiori; egli raccoglie il lamento della gente cercando così di esortare alla riscossa tutti gli anelli più deboli della società. 
Già nel '33 a Roma e poi nel '36 a Milano, il pittore si ritrova a contatto con gli ambienti culturali attivamente impegnati sull’orizzonte politico. Proprio a Milano entra a far parte del circolo artistico e letterario antifascista che darà vita a “Corrente”, all’interno del quale matura il convincimento dell’arte intesa come impegno morale ed etico e soprattutto come coinvolgimento nella realtà. 
Nei suoi quadri grande spazio viene dato ai temi legati alla vita contadina, espressi in chiave marcatamente espressionista, ma il suo “espressionismo” non è un semplice modo di sentire le cose: e' la realtà stessa ad essere espressiva, i suoi colori, i suoi particolari a suggerire al pittore quel “ductus” così fortemente drammatico, abilmente sottolineato da ampie stesure intensamente colorate e da una densa materia pittorica. 
Ciò e' mirabilmente espresso nella "Fucilazione di campagna" (Roma GNAM), opera dedicata al drammatico evento dell’uccisione di Garcìa Lorca, o nell’opera “Fuga dall’Etna” del 1939. Siamo alle porte del secondo conflitto mondiale ormai e Guttuso entra a far parte della Resistenza, lasciando a testimonianza di questo periodo alcuni disegni pubblicati a Roma nel 1944. 
Subito dopo la guerra è tra i fondatori del Fronte Nuovo delle Arti con cui espone opere a Milano e a Venezia. Nei lavori appartenenti a questi anni si accentua ancor di più il processo di stilizzazione dell’immagine: ogni profilo viene segnato da una marcata linea nera, sottolineando ancor di piu' quella concitazione espressiva che gia' aveva caratterizzato i dipinti dell’anteguerra. 
Guttuso è lontano dal fronte dell’astrattismo in pittura che proprio allora si misurava con quello realista; la sua, ora, e' sempre piu' una pittura dedita all’attualità e alla cronaca della storia, che come tale necessita di forme strettamente legate alla realta' delle cose. E' una poetica dell’arte in cui si animano personaggi politici, umili braccianti del Mezzogiorno italiano come gente comune affaccendata in un mercato (“La Vucciria” 1974), a dimostrazione di un impegno che tanto ha saputo svelare, fin nelle pieghe piu' nascoste, una societa' di cui ancora siamo i protagonisti.




Fuga dall'Etna, 1939


La Vucciria di Guttuso
All'interno della sede istituzionale dell’Università di Palermo, Palazzo Chiaramonte-Steri, e' conservata un'opera simbolo di Palermo, la splendida tela con "La Vucciria" di Renato Guttuso. Dipinto nel 1974, il quadro fotografa una scena realistica tratta dalla vita quotidiana di Palermo: carni sanguinolente e verdure esposte nei banchi del celebre mercato della Vucciria sono magistralmente ritratte dal pennello forte e deciso dell'artista siciliano.
Aligi Sassu 
Aligi Sassu (Milano 1912 - Palma di Maiorca 2000) maturo' le sue prime esperienze pittoriche nell'ambito del secondo futurismo. All'inizio degli anni Trenta sviluppo' una personale espressione pittorica antinovecentista. In questo periodo diede vita ai nuclei tematici degli uomini rossi, dei caffè, dei ciclisti, poi dei cavalli verdi e dei partigiani, risolti pittoricamente con la preminenza del colore. Fu tra gli animatori del gruppo di Corrente e nel dopoguerra fu tra gli esponenti del neorealismo. Realizzo' anche opere di scultura, cicli di affreschi, mosaici (nell'abside della chiesa del Carmine a Cagliari, 1957), vetrate e scenografie.

mercoledì 30 gennaio 2013

L'architettura neorealista


Col termine Neorealismo architettonico viene indicata una corrente architettonica del razionalismo italiano del secondo dopoguerra. Questo termine, il cui significato è assai più ristretto e meno qualificante rispetto agli analoghi fenomeni in letteratura, cinema e pittura, è legato a realizzazioni che, intorno agli anni Cinquanta, segnarono il passaggio dal repertorio razionalista e internazionale, i cui temi erano stati appena introdotti nell'Italia del secondo dopoguerra, a esperimenti di riutilizzazione di forme architettoniche legate alla tradizione, nel tentativo di riprendere contatto con la realtà, di mettere in risalto con una visione nuova e critica le cose circostanti. La tendenza può essere individuata come la prima reazione al Movimento Moderno in architettura, che si sviluppa in Italia, e si riallaccia al più ampio movimento culturale definito appunto Neorealismo, che aveva avuto il suo sviluppo negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale. L'architettura inizia ad abbandonare il Neoclassicismo semplificato ed il Monumentalismo del ventennio fascista; nasce il Neorealismo architettonico, che prende forse spunto dalla stagione di grande valore che questa forma di espressione aveva già avuto nel Cinema; nell'architettura, infatti, il movimento è successivo a quello cinematografico. Il movimento architettonico si può restringere a poche significative opere, anche perché si esaurì in breve. Si ricordano soprattutto le case di M. Ridolfi a Roma e a Terni; il quartiere Tiburtino a Roma (progettato da L. Quaroni,C. Aymonino, C. Chiarini, M. Fiorentino, C. Melograni, S. Lenci, F. Gorio, P. Lugli, G. Menichetti, M. Valori, M. Ridolfi, M. Lanza), considerato come l'esempio più cospicuo dell'architettura neorealista; infine il Borgo La Martella presso Matera, di L. Quaroni, F. Gorio, P. Lugli, M. Agati, M.Valori.

Caratteri
La ricerca neorealista è incentrata su una nuova razionalità del costruire, che guarda al passato rivelando il tema sempre attuale, come diversi critici hanno individuato (Zevi, Benevolo, Purini ecc.), di un complesso dell’architettura italiana nei confronti della sua tradizione e dell’identità che da essa ne deriva. Si vogliono ricreare le condizioni, l’ambiente, lo spazio architettonico, il modo di abitare, che nelle realizzazioni principali, che sono quelle pubbliche dell’INA-Casa, si riallacciano all’equilibrio della vita di borgo. «Gli architetti che hanno operato a Roma nei primi anni del dopoguerra», scrive Cappelli, «hanno cercato di evitare forme e immagini associabili al trascorso regime fascista, mettendo al bando riferimenti all'antica Roma, classicismi e neoclassicismi, ma anche il Futurismo e i linguaggi razionalisti più simili alle avanguardie europee». Questa spinta al rinnovamento porterà allo sbocco di un nuovo linguaggio, le cui valenze espressive l'autore definisce attraverso l'indicazione di alcune opere, a cui attribuisce un valore seminale: il quartiere Tiburtino (1949-54), il quartiere Valco San Paolo (1949-50), il Tuscolano (1950-52), l'Unità d'abitazione orizzontale (1950-54), le Fosse Ardeatine (1945-49), le palazzine degli anni Cinquanta, fino a giungere al quartiere Corviale (1972-82). Vi è, quindi, un lavoro sulla coerenza compositiva dei materiali, delle scelte tecnologiche, dei particolari architettonici e costruttivi, delle interpretazioni sociologiche e psicologiche dell’ambiente costruito esistente e storico. I suoi maestri sono Ignazio Gardella, Michele Valori, Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni, Giovanni Michelucci, anche se quest'ultimo spazia anche in altre tendenze.