Il
termine neorealismo sembrerebbe esser stato impiegato per la prima
volta nel 1943 dal montatore Mario Serandrei in riferimento a
Ossessione (1943) di Luchino Visconti.
Tra
il 1945 e il 1953 è in Italia l'importante fenomeno del neorealismo.
La guerra e la sconfitta avevano posto grossi limiti materiali e
ideologici alla produzione cinematografica italiana: gran parte degli
studi erano distrutti e non si potevano girare scene ricostruite,
mancavano fondi per realizzare film così come si faceva negli anni
precedenti la guerra; d'altra parte mancavano persino gli attori: non
si potevano impiegare gli attori usati dal cinema fascista che
impersonavano eroi di propaganda. I giovani registi usciti dalla
guerra partecipavano al movimento di rinnovamento della società
italiana di quegli anni. Loro impegno era il contatto diretto, quasi
documentario, con la realtà: il bisogno della verità dopo le
mistificazioni e la retorica del regime. I film del neorealismo
italiano si contraddistinguono per una forte carica realista, l'uso
di attori non professionisti, la presa diretta del paesaggio esterno
delle città e delle campagne. Si guarda non più alle storie
individuali e medio-borghesi, ma a vicende collettive (così come la
Resistenza aveva riguardato una vicenda di tutto un popolo): di
abitanti di Roma occupata e di partigiani, di donne del dopoguerra,
di povera gente costretta a rubare una bicicletta per trovare lavoro,
di pensionati, di emigranti. Si filma tutto quel mondo di cui il
fascismo non ammetteva l'esistenza: la povera gente, la
prostituzione, i suicidi, il mondo reale del lavoro duro.
Anche
dal punto di vista linguistico, riappaiono insieme alla realtà , i
dialetti che il nazionalismo fascista aveva bollato come deteriori.
Nei maggiori films del neorealismo italico, appare il plurilinguismo:
si pensi al tedesco, italiano, inglese, e dialetti locali presenti
nei capolavori di Rossellini ("Roma città aperta",
"Paisà"), De Sica & Zavattini ("Sciuscià",
"Ladri di biciclette"), Visconti ("La terra trema").
Il dialetto per la prima volta nella storia del cinema italiano
veniva assunto allo stesso livello dell'italiano e delle altre
lingue, non in posizione di subalternità(addirittura, con "Sciuscià"
e "Paisà", la presenza del dialetto anche nel titolo). La
soluzione anche linguistica del neorealismo non resse a lungo, si
infranse sullo scoglio della standardizzazione seriale del cinema
industriale.
Questo
slancio si nutrì di spontaneità, di coerenza e, pur nella diversità
degli approcci, di una tensione univoca che non si sarebbe più
ritrovata nel cammino del nostro cinema. Non dunque una tecnica
particolare (riprese “dal vero” con interpreti “presi dalla
strada”), né un solo linguaggio o stile (quello di L.
Visconti
essendo, per esempio, agli antipodi di quello di Rossellini), né
contenuti scelti, proposti o sviluppati secondo una stessa matrice,
caratterizzarono il neorealismo; bensì il comune atteggiamento di
fronte a una realtà nuova e inedita al cinema (donde il prefisso neo
al termine realismo,
almeno secondo l'interpretazione più semplice e sensata), il comune
spirito nell'affrontarla, esplorarla, rivelarla quale passaggio
essenziale e indilazionabile verso qualsiasi opera di rinnovamento e
ricostruzione del Paese. In questo senso, ciascun regista o
sceneggiatore si dimostrò in possesso di una propria visione della
realtà e dei suoi problemi, ma tutti insieme, dai maggiori ai
minori, coloro che parteciparono a tale corrente, concorsero a fare
un cinema che per la prima volta cominciò a misurarsi con alcuni dei
grandi temi della nazione, ponendosi (sia pure più o meno
genericamente) dalla parte del popolo.
E‘
importante ricordare che il
neorealismo trionfò più sul piano internazionale che in patria;
fonte di ispirazione per molte cinematografie di vari continenti, è
tuttora citato come un alto esempio di impegno civile e sociale, da
cui trarre insegnamento non solo dal punto di vista del linguaggio
formale.
Nonostante
le differenze tra gli stili peculiari di ogni autore, è possibile
estrarre alcuni elementi comuni come, ad esempio, l'abbandono della
struttura narrativa romanzesca, la preferenza accordata alle riprese
in esterni, la presenza di attori non professionisti e il tentativo
di rendere conto in modo obiettivo della realtà politica e sociale
del paese in un momento di grandi cambiamenti.
Nelle
commedie di Mario Camerini (interpretate da De Sica; ad alcune di
esse collaborò anche Cesare Zavattini: Darò un milione, 1935) c'era
attenzione per la cronaca minuta, la vita degli umili opposta a
quella borghese; vennero poi Avanti c'è posto (1942) di M. Bonnard,
Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, I
bambini ci guardano
(1942-1943) e La porta
del cielo (1944-1945) di
Vittorio De Sica dove Zavattini è presente come soggettista e
scenografo; film drammatici erano stati La peccatrice (1940) di A.
Palermi, Desiderio (1943) di Roberto Rossellini, Ossessione
(1942) di Luchino Visconti; alcune commedie popolaresche scritte da
Federico Fellini, P. Tellini, S. Amidei (interpretate da Aldo Fabrizi
e Anna Magnani) danno il via a un film dialettale; mentre
interessantissimi ci paiono oggi i film di guerra di F. De Robertis:
Uomini sul fondo (1941) e Alfa tau (1942) sono incredibilmente privi
di retorica.
I
maggiori autori del neorealismo sono Roberto
Rossellini ,
Vittorio
De Sica ,
Luchino
Visconti ,
attorniati da una serie di altri registi di buon livello, affiancati
da alcuni interpreti di primo piano e da sceneggiatori come Cesare
Zavattini (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto
D, Il tetto, L'oro di Napoli) e Salvatore Amidei (Roma città aperta,
Paisà, Viva l'Italia!).
Oltre
agli autori maggiori, vi sono tutta una serie di autori minori,
registi che contribuiscono al successo del filone in quegli anni,
spesso anche solo con un unico film, per poi magari avere una
evoluzione verso altre direzioni. Si ricordano tra questi registi
minori Aldo
Vergano,
Luigi
Zampa, Carlo
Lizzani,
Giuseppe
De Santis, G.
Puccini [ha diretto Il carro armato dell'8 settembre (1960) e I sette
fratelli Cervi (1968)], Gillo
Pontecorvo,
Antonio
Lattuada,
Pietro
Germi; Renato
Castellani,
Michelangelo
Antonioni, F.
Maselli,
Curzio
Malaparte,
Francesco
Rosi.
Alessandro
Blasetti affronta
la tematica partigiana in Un
giorno nella vita
(1946).
Il periodo d'oro del neorealismo
terminò con l'inizio degli anni Cinquanta. Rossellini girò ancora
alcuni film di pregio, come le due parti di L’Amore (1948), La voce
umana e Il miracolo, con Anna Magnani e un giovanissimo Federico
Fellini in veste d'attore; Stromboli terra di Dio, (1949); Francesco
giullare di Dio (1950); Europa '51 (1952); Viaggio in Italia (1953),
dopo il quale abbandonò il genere narrativo per darsi al
documentario e alla didattica ricostruzione di eventi storici con
produzioni televisive. Luchino Visconti diresse Senso (1954), film
che segna il suo passaggio dal neorealismo al realismo, cioè dalla
cosiddetta "poetica del pedinamento" (espressione coniata
per designare il rispecchiamento della realtà) alla ripresa della
grande tradizione romanzesca dell'Ottocento, trasposta nel cinema con
la precisa descrizione di ambientazioni e psicologie dei personaggi.
Vittorio De Sica firmò Umberto D. (1952), un estremo capolavoro
neorealista, forse il suo più riuscito; in seguito, da L'oro di
Napoli (1954) in poi, tornò sulle tracce di un cinema più
commerciabile e di un realismo dai toni meno drammatici, senza per
questo rinunciare alla qualità delle produzioni.
Secondo la convenzione storica,
l'esperienza neorealista, aperta da Ossessione, si chiuse con Umberto
D., dopodiché videro la luce nuovi filoni che, in molti casi, dal
neorealismo trassero linfa tradendone il senso profondo. Come esempio
si può citare tutta la serie di film d'ambientazione popolare in cui
i personaggi sovente non sono molto più che macchiette d'ispirazione
neorealista. Tra questi Pane, amore e fantasia (1953), per la regia
di Luigi Comencini, interpretato da Vittorio De Sica e una
prorompente Gina Lollobrigida agli esordi, e Poveri ma belli (1956)
di Dino Risi, film nel quale, ora in campagna ora in città, venivano
riproposti gli stereotipi psicologici del cinema dei “telefoni
bianchi".
Sul versante comico-popolare, l'eredità
neorealista è riscontrabile, ad esempio, nella serie tratta da
Giovanni Guareschi e dedicata al personaggio di Don Camillo che
furono campioni d'incasso per tutti gli anni Cinquanta. Il lascito
del neorealismo non fu però limitato al solo filone
strapaesano-comico-sentimentale. A riprova del fatto che, al di là
degli stili, il movimento fu una vera e propria "scuola"
dove che formo delle nuove leve di autori che avrebbero costituito
il nucleo centrale del grande cinema italiano degli anni Cinquanta e
Sessanta. Tra questi, vanno citati Michelangelo Antonioni e Federico
Fellini.
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