giovedì 31 gennaio 2013

Il cinema neorealista italiano

















Il termine neorealismo sembrerebbe esser stato impiegato per la prima volta nel 1943 dal montatore Mario Serandrei in riferimento a Ossessione (1943) di Luchino Visconti.
Tra il 1945 e il 1953 è in Italia l'importante fenomeno del neorealismo. La guerra e la sconfitta avevano posto grossi limiti materiali e ideologici alla produzione cinematografica italiana: gran parte degli studi erano distrutti e non si potevano girare scene ricostruite, mancavano fondi per realizzare film così come si faceva negli anni precedenti la guerra; d'altra parte mancavano persino gli attori: non si potevano impiegare gli attori usati dal cinema fascista che impersonavano eroi di propaganda. I giovani registi usciti dalla guerra partecipavano al movimento di rinnovamento della società italiana di quegli anni. Loro impegno era il contatto diretto, quasi documentario, con la realtà: il bisogno della verità dopo le mistificazioni e la retorica del regime. I film del neorealismo italiano si contraddistinguono per una forte carica realista, l'uso di attori non professionisti, la presa diretta del paesaggio esterno delle città e delle campagne. Si guarda non più alle storie individuali e medio-borghesi, ma a vicende collettive (così come la Resistenza aveva riguardato una vicenda di tutto un popolo): di abitanti di Roma occupata e di partigiani, di donne del dopoguerra, di povera gente costretta a rubare una bicicletta per trovare lavoro, di pensionati, di emigranti. Si filma tutto quel mondo di cui il fascismo non ammetteva l'esistenza: la povera gente, la prostituzione, i suicidi, il mondo reale del lavoro duro.
Anche dal punto di vista linguistico, riappaiono insieme alla realtà , i dialetti che il nazionalismo fascista aveva bollato come deteriori. Nei maggiori films del neorealismo italico, appare il plurilinguismo: si pensi al tedesco, italiano, inglese, e dialetti locali presenti nei capolavori di Rossellini ("Roma città aperta", "Paisà"), De Sica & Zavattini ("Sciuscià", "Ladri di biciclette"), Visconti ("La terra trema"). Il dialetto per la prima volta nella storia del cinema italiano veniva assunto allo stesso livello dell'italiano e delle altre lingue, non in posizione di subalternità(addirittura, con "Sciuscià" e "Paisà", la presenza del dialetto anche nel titolo). La soluzione anche linguistica del neorealismo non resse a lungo, si infranse sullo scoglio della standardizzazione seriale del cinema industriale.
Questo slancio si nutrì di spontaneità, di coerenza e, pur nella diversità degli approcci, di una tensione univoca che non si sarebbe più ritrovata nel cammino del nostro cinema. Non dunque una tecnica particolare (riprese “dal vero” con interpreti “presi dalla strada”), né un solo linguaggio o stile (quello di L. Visconti essendo, per esempio, agli antipodi di quello di Rossellini), né contenuti scelti, proposti o sviluppati secondo una stessa matrice, caratterizzarono il neorealismo; bensì il comune atteggiamento di fronte a una realtà nuova e inedita al cinema (donde il prefisso neo al termine realismo, almeno secondo l'interpretazione più semplice e sensata), il comune spirito nell'affrontarla, esplorarla, rivelarla quale passaggio essenziale e indilazionabile verso qualsiasi opera di rinnovamento e ricostruzione del Paese. In questo senso, ciascun regista o sceneggiatore si dimostrò in possesso di una propria visione della realtà e dei suoi problemi, ma tutti insieme, dai maggiori ai minori, coloro che parteciparono a tale corrente, concorsero a fare un cinema che per la prima volta cominciò a misurarsi con alcuni dei grandi temi della nazione, ponendosi (sia pure più o meno genericamente) dalla parte del popolo.
E‘ importante ricordare che il neorealismo trionfò più sul piano internazionale che in patria; fonte di ispirazione per molte cinematografie di vari continenti, è tuttora citato come un alto esempio di impegno civile e sociale, da cui trarre insegnamento non solo dal punto di vista del linguaggio formale.
Nonostante le differenze tra gli stili peculiari di ogni autore, è possibile estrarre alcuni elementi comuni come, ad esempio, l'abbandono della struttura narrativa romanzesca, la preferenza accordata alle riprese in esterni, la presenza di attori non professionisti e il tentativo di rendere conto in modo obiettivo della realtà politica e sociale del paese in un momento di grandi cambiamenti.


Nelle commedie di Mario Camerini (interpretate da De Sica; ad alcune di esse collaborò anche Cesare Zavattini: Darò un milione, 1935) c'era attenzione per la cronaca minuta, la vita degli umili opposta a quella borghese; vennero poi Avanti c'è posto (1942) di M. Bonnard, Quattro passi tra le nuvole (1942) di Alessandro Blasetti, I bambini ci guardano (1942-1943) e La porta del cielo (1944-1945) di Vittorio De Sica dove Zavattini è presente come soggettista e scenografo; film drammatici erano stati La peccatrice (1940) di A. Palermi, Desiderio (1943) di Roberto Rossellini, Ossessione (1942) di Luchino Visconti; alcune commedie popolaresche scritte da Federico Fellini, P. Tellini, S. Amidei (interpretate da Aldo Fabrizi e Anna Magnani) danno il via a un film dialettale; mentre interessantissimi ci paiono oggi i film di guerra di F. De Robertis: Uomini sul fondo (1941) e Alfa tau (1942) sono incredibilmente privi di retorica.
I maggiori autori del neorealismo sono Roberto Rossellini , Vittorio De Sica , Luchino Visconti , attorniati da una serie di altri registi di buon livello, affiancati da alcuni interpreti di primo piano e da sceneggiatori come Cesare Zavattini (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D, Il tetto, L'oro di Napoli) e Salvatore Amidei (Roma città aperta, Paisà, Viva l'Italia!).
Oltre agli autori maggiori, vi sono tutta una serie di autori minori, registi che contribuiscono al successo del filone in quegli anni, spesso anche solo con un unico film, per poi magari avere una evoluzione verso altre direzioni. Si ricordano tra questi registi minori Aldo Vergano, Luigi Zampa, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis, G. Puccini [ha diretto Il carro armato dell'8 settembre (1960) e I sette fratelli Cervi (1968)], Gillo Pontecorvo, Antonio Lattuada, Pietro Germi; Renato Castellani, Michelangelo Antonioni, F. Maselli, Curzio Malaparte, Francesco Rosi. Alessandro Blasetti affronta la tematica partigiana in Un giorno nella vita (1946).

Il periodo d'oro del neorealismo terminò con l'inizio degli anni Cinquanta. Rossellini girò ancora alcuni film di pregio, come le due parti di L’Amore (1948), La voce umana e Il miracolo, con Anna Magnani e un giovanissimo Federico Fellini in veste d'attore; Stromboli terra di Dio, (1949); Francesco giullare di Dio (1950); Europa '51 (1952); Viaggio in Italia (1953), dopo il quale abbandonò il genere narrativo per darsi al documentario e alla didattica ricostruzione di eventi storici con produzioni televisive. Luchino Visconti diresse Senso (1954), film che segna il suo passaggio dal neorealismo al realismo, cioè dalla cosiddetta "poetica del pedinamento" (espressione coniata per designare il rispecchiamento della realtà) alla ripresa della grande tradizione romanzesca dell'Ottocento, trasposta nel cinema con la precisa descrizione di ambientazioni e psicologie dei personaggi. Vittorio De Sica firmò Umberto D. (1952), un estremo capolavoro neorealista, forse il suo più riuscito; in seguito, da L'oro di Napoli (1954) in poi, tornò sulle tracce di un cinema più commerciabile e di un realismo dai toni meno drammatici, senza per questo rinunciare alla qualità delle produzioni.

Secondo la convenzione storica, l'esperienza neorealista, aperta da Ossessione, si chiuse con Umberto D., dopodiché videro la luce nuovi filoni che, in molti casi, dal neorealismo trassero linfa tradendone il senso profondo. Come esempio si può citare tutta la serie di film d'ambientazione popolare in cui i personaggi sovente non sono molto più che macchiette d'ispirazione neorealista. Tra questi Pane, amore e fantasia (1953), per la regia di Luigi Comencini, interpretato da Vittorio De Sica e una prorompente Gina Lollobrigida agli esordi, e Poveri ma belli (1956) di Dino Risi, film nel quale, ora in campagna ora in città, venivano riproposti gli stereotipi psicologici del cinema dei “telefoni bianchi".

Sul versante comico-popolare, l'eredità neorealista è riscontrabile, ad esempio, nella serie tratta da Giovanni Guareschi e dedicata al personaggio di Don Camillo che furono campioni d'incasso per tutti gli anni Cinquanta. Il lascito del neorealismo non fu però limitato al solo filone strapaesano-comico-sentimentale. A riprova del fatto che, al di là degli stili, il movimento fu una vera e propria "scuola" dove che formo delle nuove leve di autori che avrebbero costituito il nucleo centrale del grande cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta. Tra questi, vanno citati Michelangelo Antonioni e Federico Fellini.

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