mercoledì 30 gennaio 2013

L'architettura neorealista


Col termine Neorealismo architettonico viene indicata una corrente architettonica del razionalismo italiano del secondo dopoguerra. Questo termine, il cui significato è assai più ristretto e meno qualificante rispetto agli analoghi fenomeni in letteratura, cinema e pittura, è legato a realizzazioni che, intorno agli anni Cinquanta, segnarono il passaggio dal repertorio razionalista e internazionale, i cui temi erano stati appena introdotti nell'Italia del secondo dopoguerra, a esperimenti di riutilizzazione di forme architettoniche legate alla tradizione, nel tentativo di riprendere contatto con la realtà, di mettere in risalto con una visione nuova e critica le cose circostanti. La tendenza può essere individuata come la prima reazione al Movimento Moderno in architettura, che si sviluppa in Italia, e si riallaccia al più ampio movimento culturale definito appunto Neorealismo, che aveva avuto il suo sviluppo negli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale. L'architettura inizia ad abbandonare il Neoclassicismo semplificato ed il Monumentalismo del ventennio fascista; nasce il Neorealismo architettonico, che prende forse spunto dalla stagione di grande valore che questa forma di espressione aveva già avuto nel Cinema; nell'architettura, infatti, il movimento è successivo a quello cinematografico. Il movimento architettonico si può restringere a poche significative opere, anche perché si esaurì in breve. Si ricordano soprattutto le case di M. Ridolfi a Roma e a Terni; il quartiere Tiburtino a Roma (progettato da L. Quaroni,C. Aymonino, C. Chiarini, M. Fiorentino, C. Melograni, S. Lenci, F. Gorio, P. Lugli, G. Menichetti, M. Valori, M. Ridolfi, M. Lanza), considerato come l'esempio più cospicuo dell'architettura neorealista; infine il Borgo La Martella presso Matera, di L. Quaroni, F. Gorio, P. Lugli, M. Agati, M.Valori.

Caratteri
La ricerca neorealista è incentrata su una nuova razionalità del costruire, che guarda al passato rivelando il tema sempre attuale, come diversi critici hanno individuato (Zevi, Benevolo, Purini ecc.), di un complesso dell’architettura italiana nei confronti della sua tradizione e dell’identità che da essa ne deriva. Si vogliono ricreare le condizioni, l’ambiente, lo spazio architettonico, il modo di abitare, che nelle realizzazioni principali, che sono quelle pubbliche dell’INA-Casa, si riallacciano all’equilibrio della vita di borgo. «Gli architetti che hanno operato a Roma nei primi anni del dopoguerra», scrive Cappelli, «hanno cercato di evitare forme e immagini associabili al trascorso regime fascista, mettendo al bando riferimenti all'antica Roma, classicismi e neoclassicismi, ma anche il Futurismo e i linguaggi razionalisti più simili alle avanguardie europee». Questa spinta al rinnovamento porterà allo sbocco di un nuovo linguaggio, le cui valenze espressive l'autore definisce attraverso l'indicazione di alcune opere, a cui attribuisce un valore seminale: il quartiere Tiburtino (1949-54), il quartiere Valco San Paolo (1949-50), il Tuscolano (1950-52), l'Unità d'abitazione orizzontale (1950-54), le Fosse Ardeatine (1945-49), le palazzine degli anni Cinquanta, fino a giungere al quartiere Corviale (1972-82). Vi è, quindi, un lavoro sulla coerenza compositiva dei materiali, delle scelte tecnologiche, dei particolari architettonici e costruttivi, delle interpretazioni sociologiche e psicologiche dell’ambiente costruito esistente e storico. I suoi maestri sono Ignazio Gardella, Michele Valori, Mario Ridolfi, Carlo Aymonino, Ludovico Quaroni, Giovanni Michelucci, anche se quest'ultimo spazia anche in altre tendenze.

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